martedì 30 giugno 2009

Conversazione tra gentiluomini

INTRODUZIONE: Questo scambio di email avvenne qualche mese fa tra due autori di questo blog. Si parte con l'indicazione di un plugin per inviare via email pagine web e poi si passa a parlare di un giro in bici nel quale uno degli autori spaccò inavvertitamente un gancio che assicurava la pompa al telaio. Il proprietario della pompa vuole comperarne una nuova e regalare quella con il gancio rotto al colpevole, quest'ultimo invece vuole risarcirlo. A voi la lettura...

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Ottimo plugin per Firefox che supplisce alla storica carenza di Firefox nel mandare le pagine via mail. Con questo si risolve completamente e si ottiene lo stesso risultato che si ha con IE (questa pagina è mandata grazie al plugin). Va settato e mi raccomando, andate in Misc e puntate la prima casella!
Saluti

(e in cul quei che preferisse el link!)

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Mori, io uso Gmail e non posso mandare pagine web per email perchè non uso un programma! Mandami le foto del giro in bici invece!!

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http://webmail.mozdev.org/installation.html

Estensione per Thunderbird che consente di utilizzare Gmail nel client di posta.

Comunque non voglio i soldi per la pompa, poteva capitare a me di tirare e l'avrei rotta io. Van cul.

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Non rompere il cazzo, mi toccherebbe ridarti la tua pompa di merda e comprarne una nuova, ormai mi sono abituato ad averne una con me nello zaino. Quant'è? Pompa + due camere d'aria?

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Facciamo che mi paghi solo le camere d'aria. Io quella pompa non la voglio più perché non la voglio avere nello zaino, quindi tientela pure e vaffanculo.

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Ti spacco il culo, piantala. Quanto fanno le due camere d'aria?

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Saran 6€...

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Più dieci della pompa fa 16. Te li porto domani, grazie mille. Bada che le camere d'aria siano di qualità.

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Zio belo, non voglio i 10 della pompa. Se l'avessi tirata io l'avrei rotta io: in quel caso me l'avresti pagata comunque?

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E se l'avessi rotta tu me l'avresti regalata? E io avrei accettato la tua schifosa carità?

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Probabilmente sì, perché non sei degno nemmeno di allacciarmi i calzari.

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Probabilmente avrei spezzato con le mie mani callose da metalmeccanico la pompa davanti ai tuoi occhi borghesi, in segno di spregio e ribellione proletaria!

lunedì 29 giugno 2009

De humano labore et de iniusta retributione - Capitolo 6: Conclusione

Giunti a questo punto, riteniamo di aver portato sufficienti argomentazioni a sostegno della nostra tesi: che cosa ci impedisce, allora, di compiere l'ultimo passo, ovvero affermare con vigore l'assoluta assenza di una qualsivoglia giustificazione logico-razionale alla retribuzione del lavoro? Sumeri e Assiri donavano, con encomiabile magnanimità, la schiavitù alle popolazioni sconfitte, i feudatari medioevali facevano lo stesso con i loro servi della gleba e altrettanto fecero i padri fondatori degli Stati Uniti con i negri dell'Africa. Tali preziosi insegnamenti debbono cadere nel vuoto? Ancora una volta la Storia si dimostrerà un'ottima maestra con pessimi alunni? Con uno sguardo nostalgico verso il passato e uno pieno di speranza verso il futuro, gli autori di questo libello non possono far altro che agognare il momento in cui potranno smettere di non far nulla tutto il giorno e potremo tutti insieme finalmente godere delle delizie dei lavoro, dello sfinimento fisico, intellettuale e morale senza più l'offensivo e degradante costume del pagamento finale. Verrà il giorno, ne siamo convinti, in cui l'attuale iniquo ordinamento crollerà con fragore e frastuono, per veder sorgere una nuova era di servitù universale.

Gli Autori

domenica 28 giugno 2009

De humano labore et de iniusta retributione - Capitolo 5: II silenzio e la responsabilità della Chiesa

Ma vogliamo spingerci ancora più in là: vogliamo finalmente andare alla radice del problema e riconoscere che parte della responsabilità è della stessa Chiesa, che da migliaia di anni continua a raccontarci della nascita del lavoro come punizione divina. E' in realtà comprovato da un recente studio di Hans Strauben, teologo dell'università di Tubinga, che c'è un errore di traduzione dalle Antiche Scritture, tanto essenziale quanto da sempre trascurato nell'indifferenza più assoluta dalla comunità episcopale.Sin dai primi anni veniamo catechizzati da signore piene di buona volontà ma scarsa conoscenza dell'antico ebraico, che ci raccontano della cacciata dal Paradiso Terrestre e della terribile punizione "guadagnerai il pane col sudore della tua fronte". Come è possibile conciliare una tale severità con la bontà che siamo abituati ad attribuire al padre celeste? Come spiegare questa aporia e soprattutto il silenzio millenario sulla stessa? Non siamo qui per attribuire colpe o per puntare indici inquisitori, ma ci permettiamo solo di far notare che il termine che compare nella prima versione del Talmud, unico prezioso esemplare conservato nella Biblioteca Comunale di Rosignano Marittimo, è "shawe-hat-kelem" che significa letteralmente "dono inteso a dimostrare la bontà del Signore nonostante l'uomo abbia tradito la sua fiducia". Nelle versioni successive, il termine è "SALEM-hat-kelem", molto simile al precedente, ma dal significato opposto, appunto quello di "punizione". E' possibile accettare che si sia trattato di una semplice svista? O piuttosto dobbiamo pensare ad una volontà ben precisa? In ogni caso è evidente che la versione accettata dalla Chiesa è quella errata, successiva alla prima: per questo il lavoro viene inteso come una dannazione e non un ultimo regalo concesso all'uomo a dimostrazione dell'infinito amore dei padreterno. Paradossale ai limiti del grottesco, certo, ma questo impercettibile errore ortografico è alla base di una delle più grandi incomprensioni socio-religiose di tutta la storia dell'Uomo. Quanto ancora passerà prima che tale Verità venga resa pubblica?

sabato 27 giugno 2009

De humano labore et de iniusta retributione - Capitolo 4: Del lavoro minorile

Vogliamo inoltre sancire, con quest'opera, una discontinuità fra il benpensante e politicamente corretto (ma ontologicamente fallace) sentimento in base al quale il lavoro minorile sarebbe deprecabile, iniquo. Bando alle ciance dei filosofucolo Rousseau, alle farneticazioni della quintilianea Institutio Oratoria, che costituisce un pleonasmo dell'educazione puramente scolastica del fanciullo, è da affermarsi che il lavoro, se applicato a grandi dosi sulle schiene ancora poco robuste di acerbi fanciulli e fanciulle, ha un effetto educativo senza pari. Il ragazzo, ancora perso nei marasmi dell'improduttiva fantasia della giovinezza e nella spensieratezza dell'irresponsabilità, si vedrà caricato di oberanti impegni e irrobustirà la sua persona fino a giungere all'età adulta già pronto a faticare cotidie per guadagnarsi un pezzo di pane. "Abbandonare il giocattolo per imbracciare il piccone": questo è il motto che crediamo dovrebbe animare gli intenti educativi dei genitori verso i loro figli. Distogliete i ragazzi dal giuoco, dal divertimento fine a sé stesso e per questo improduttivo. Costringeteli invece in miniera o in una fabbrica, imponete loro orari di lavoro non inferiori alle dieci ore giornaliere. Non fatevi impietosire dalle probabili lamentele che i minori esprimeranno nei vostri confronti: un vostro cedimento sarebbe un passo indietro per l'intera società.

giovedì 25 giugno 2009

De humano labore et de iniusta retributione - Capitolo 3: Esempi di ingiusta retribuzione

Si pensi al bracciante agricolo, furbescamente utilizzato dai soliti sobillatori come simbolo della fatica fisica e dell'ingrata lotta contro le condizioni ambientali avverse... come non contrapporre a questa falsa immagine la gioia di alzarsi all'alba, prima del sole, di passare la vita a contatto con la natura, sotto il sole, la pioggia e la neve, proprio come bambini a una scampagnata. Per non parlare della possibilità di apprendere GRATIS tutta una serie di aneddoti, di racconti popolari, di imprecazioni e bestemmie che nessuno mai potrà mai utilizzare con la capacità proverbiale del bracciante agricolo. Si pensi all'impiegato, ora sotto i riflettori per queste pretese persecuzioni apocalittiche chiamate "mobbing". Non si capisce perché non dovremmo compiangere anche coloro che si iscrivono a corsi di yoga e meditazione per apprendere le tecniche del controllo e del rilassamento. Senza contare che l'ubbidienza incondizionata al capo ufficio, lungi dall'essere una continua umiliazione, è niente più che un alleggerimento dal peso della responsabilità e dall'imbarazzo della decisione. Si pensi ancora al tassista di Milano che si alza all'alba o, ancora meglio, passa tutta la notte fuori senza dover renderne conto alla moglie o ai famigliari, conosce continuamente persone diverse che salgono e scendono dal suo veicolo arricchendolo con una serie illimitata di racconti e di esperienze... senza voler citare il rapporto speciale che si instaura con le strade della sua città: noi che non abbiamo la fortuna di passare la vita incolonnati nel traffico possiamo solo averne una vaga e fumosa intuizione.

mercoledì 24 giugno 2009

De humano labore et de iniusta retributione - Capitolo 2: L'ingiustificata retribuzione

Il nodo gordiano dell'intera faccenda è la retribuzione. Un certo marxismo strisciante, ma non per questo meno invasivo, sembra ormai aver trionfato e domina, con i suoi falsi dogmi e postulati, ogni discussione sull'argomento. La teoria della lotta di classe, del conflitto fra i proprietari dei mezzi di produzione e i lavoratori che sono costretti a vendere il proprio tempo, le proprie energie e capacità è ormai data per assodata anche dai suoi, a parole, detrattori. Chi si sognerebbe mai di mettere in dubbio che il lavoratore vada retribuito? Ci sono un'infinità di posizioni sulle modalità di questa retribuzione, sia essa basata sul monte ore dedicate a1 lavoro (salario a giornata) o sulla quantità di bene prodotto (cottimo) o addirittura una serie di pagamenti ulteriori senza un particolare motivo (tredicesima, straordinari e quante altre diavolerie catto-comuniste possono essere partorite da menti inquinate dalla menzogna). Quanta parte ha la propaganda comunista in questo gigantesco inganno? In questo mondo alla rovescia? La domanda che i curatori dei presente libello pongono è: PERCHE' il lavoro deve essere retribuito? Che gli sproloquiatori sindacali lo spieghino al mondo intero, una volta per tutte.

lunedì 22 giugno 2009

De humano labore et de iniusta retributione - Capitolo 1: Del lavoro in generale

Il fenomeno del lavoro come procacciamento dei mezzi necessari alla continuazione della vita del lavoratore è stato e continua ad essere oggetto di un fondamentale equivoco.
L'espressione "ammazzarsi di lavoro" codifica, nella sua oleografica icasticità, il malinteso che questo libello vuole tentare di risolvere. La normale visione del lavoro e il sentimento comune verso tutto ciò che costituisce l'attività umana, infatti, si caratterizzano in ogni epoca storica per pessimismo, sfiducia e diffidenza. A volte repulsione. Come se il lavoro, ed è questo il fondo del pozzo, l'azimut della portata ingannevole di questa filosofia, fosse un fastidio, un obbligo imposto dalle necessità, una costrizione cui si farebbe volentieri a meno. I lavoratori sono sempre stati condotti a pensare che la loro felicità non possa trovare giusta dimora nell'elenco dei "doveri" che l'attività lavorativa che essi espletano comporta. Quanti cattivi maestri sentiamo predicare lamentele, querimonie su orari di lavoro (oramai, ahinoi, sempre più ridotti), salari e retribuzioni (ma ci chiediamo, l'esistenza stessa di una retribuzione non è, in realtà, un sovrappiù non dovuto?), trattamenti punitivi da parte del datore di lavoro (ma sappiamo che la punizione costituisce modus emendandi del lavoratore: quando mai i ceppi non hanno insegnato ad un mozzo il modo corretto di pulire il ponte di una nave?).
Quanto vorremmo che questi cialtroni provassero la soddisfazione che pervade il bracciante a fine giornata! E quanta aria buona essi non hanno mai respirato, la stessa che può invece assaporare il lavoratore edile, dall'alto delle sue traballanti impalcature?
Ecco che, al termine di quest'opera, il lettore avrà preso consapevolezza che il lavoro è tutt'altro rispetto a ciò che divulga questa mendace ideologia.