venerdì 26 ottobre 2012

L'autunno di sbieco 11

..anche io e Piega tirammo a sorte per capire con chi stare e per cosa combattere. Io avevo un nonno che aveva militato nell'esercito austroungarico nel 15-18 prima di sposare una donna dalmata di nome Ibra. Piega invece aveva sangue più italico nelle vene, i nonni paterni erano di Santa Maria Capua Vetere. In un primo momento volevamo ognuno stare dalla propria parte di derivazione ma poi una bella infemiera italiana di nome Giuditta ci fece capire subito per cosa dovevamo combattere...e cominciammo a raccogliere qualche flebo per costruire molotov artigiane.
L'ospedale si era traformato in un autentico campo di battaglia e il fumo e le grida di dolore avvolgevano i combattenti quando ecco che vidi in un angolo del corridoio il Dottor Ottobrunn chino piangente sul suo libro. Io e Piega lo prendemmo sottobraccio e approfittando di un montacarichi uscimmo dall'ospedale e chiamammo un taxi che ci prese su e ci condusse alla stazione dei treni.
Ci lasciammo così dietro di noi quel tremendo campo di battaglia.
Alla stazione il Dottor Ottobrunn finalmente smise di singhiozzare e,tenendo sempre il libro stretto tra le mani, guardandoci negli occhi ci disse : "venite ragazzi, vi offro un crodino e vi racconto una cosa...."

sabato 13 ottobre 2012

L'autunno di sbieco 10

Rimasi svenuto solo pochi secondi, perchè Piega mi riportò in me schiaffeggiandomi sonoramente. "Sveglia Natica!" evidentemente quel soprannome che credevo dimenticato era invece divenuto di dominio pubblico. "Qui fuori c'è pieno di caramba che sparano lacrimogeni! Mi sa che mi vogliono cavare la patente di nuovo!". Appena il tempo di dire quest'imbecillità ed ecco che udimmo la gracchiante voce di un megafono: "Sono il maresiallo Tomba! Ci sono più di zinquanta carabinieri atorno all'ospedale! Fate ussire Natica o prozederemo con un'incursione! E se mollo i miei uomini non li ferma più nesuno Dio bono!". Mi avvicinai con cautela alla finestra e vidi che il maresciallo Tomba era proprio Alberto Tomba.
"Quest'interferenza statale nei nostri affari interni è un terribile attacco alla nostra autonomia!" tuonò di risposta un megafono da una finestra dell'ospedale. "Se Roma vuole cercare di entrare a forza in un nostro ospedale se la vedrà con la guardia armata del Tirolo!" E da decine di finestre lì attorno uscirono lunghe canne di fucili, spingarde e cannoncini schutzen. Seguì un silenzio irreale, si udiva solo il vento che disperdeva il fumo dei lacrimogeni e lo faceva vorticare in mulinelli sollevando le foglie gialle e rosse dei tigli. Poi la voce di Tomba, tonante anche senza amplificatore: "All'attacco sensa nesuna pietà Dio bono!" e con urla selvagge decine di carabinieri sfondarono le porte del pronto soccorso ed irruppero nell'ospedale mentre scoppiavano i primi colpi della resistenza tirolese. Tutti nelle corsie e nelle camere si attivarono scegliendo al momento da che parte stare ed ebbe inizio un combattimento all'ultimo sangue con stampelle, flebo trasformate in molotov, materassi accumulati negli angoli per creare nidi di mitragliatrice... e tutti volevano mettere le mani su di me e sul mio libro!
(continua)

sabato 6 ottobre 2012

L'autunno di sbieco 9

Ripresi i sensi solo molto tempo più tardi, anzi quasi cent'anni più tardi perchè mi risvegliai nel reparto di ortopedia dell'ospedale Santa Chiara di Trento e il calendario appeso alla parete recitava "Ottobre 2012". Piega era nel letto a fianco del mio e leggeva svogliatamente l'ultimo numero de "La sbandata" aspirando profondamente un sigaro cubano. Non si era accorto che avevo aperto gli occhi. Presi a ripercorrere con la memoria gli ultimi incredibili avvenimenti cercando di definire il limite fra sogno e realtà: Sarajevo era evidentemente il frutto del delirio seguito all'impatto con il suolo dopo il volo di tre piani, ma quel che era stato prima? Il dottor Ottobrunn, il libro della Verità, l'imperatore Francesco Giuseppe... cosa era realmente accaduto e cosa invece era una mera creazione mentale? Calde lacrime iniziarono a sgorgare lungo le mie guance per la disperazione e lo smarrimento. Poi mi voltai verso Piega e vidi che anche lui stava singhiozzando e fra un colpo e l'altro la cenere del sigaro gli cadeva sulle lenzuola e sul giornale.
Anche gli altri degenti della nostra stanza stavano piangendo senza ritegno, accesi la televisione e nei telegiornali e nelle pubblicità e nei programmi di intrattenimento pomeridiano per casalinghe e nei videoclip musicali tutti quanti erano in lacrime. Mi abbandonai sul cuscino e battei la testa contro qualcosa di rigido e spigoloso: era un grande volume rilegato in cuoio di almeno duecento anni. Sulla copertina c'era una donna che piangeva mentre affettava una grossa cipolla. Sulla prima pagina lessi un'annotazione che mi sconcertò: "Karl Ottobrunn, Natale 1814". Svenni.

lunedì 1 ottobre 2012

L'autunno di sbieco 8

Io e Piega ce ne stavamo con le ossa frastornate dalla caduta in mezzo alla strada, tra pozzanghere di acqua, fango e qualche foglia gialla. Per fortuna eravamo si doloranti ma ancora interi. La moto era però distrutta..del glorioso motore che assaliva le curve del Cimirlo restava solo una accozaglia di rottami.
Mi alzai e mi accorsi subito che non riconoscevo il vicolo nel quale ero caduto..forse era una amnesia momentanea dovuta alla caduta, forse era colpa di tutto quel fumo..ma più mi guardavo intorno più mi accorgevo che la città attorno a me non era la mia.
Il Bondone e la Vigolana che sovrastavano la mia Trento non c'erano più, i monti erano molto più tozzi,avvolti dal mantello di oscuri boschi di conifere che lasciavano il passo in basso al rosso ed al giallo degli aceri e dei faggi.  Le case erano strane, niente geranei ai balconi ma camini fumanti sui tetti rossi tra i quali spuntava qualche cupoletta e qualche campanile un po' più aguzzo che mi sembrava fosse un minareto. Ma quel che ancor più mi sorprendeva era il non vedere automobili in giro e il non sentire il caotico rumore del traffico e dei treni della mia città. Dove ero finito?
Presi per il braccio Piega che era molto più preoccupato per la moto che del rendersi conto di dove si trovava al mondo. Cominciammo a camminare nel vicolo deserto e appena girammo l'angolo ecco davanti a noi una carrozza nera trainata da un cavallo, dietro le fumose tende della carrozza 5 oscure presenze da far tremare le vene e i polsi. La carrozza quando ci vide accelerò rapida su per la strada che conduceva alle montagne...io e Piega cominciammo a scendere un po' impauriti la strada che conduceva verso il centro della città da cui sentivamo provenire un grande vociare di gente ed il dolce suono di qualche gusla.
Ed ecco per la strada ci apparvero gli abitanti di questa oscura città; alcuni dall'aspetto e dalla lingua sembravano ebrei aschenaziti, altri sembravano serbi, altri ancora croati , altri sembravano mussulmani..altri ancora sembravano ufficiali dell'esercito asburgico..
Avanzavamo in questa strada affollata da questa varia umanità ed ero sempre più inquieto ed in preda ad una strana sensazione come di depersonalizzazione.Piega invece sembrava impassibile e per nulla turbato dalla stranezza che ci circondava,anzi si grattava ogni tanto la chiappa destra. Giungemmo così giù al fiume e prendemmo la strada che lo costeggiava, era giorno di mercato e la gente affollava viva e indaffarata questa riva. Dietro un insegna dell'Impero Asburgico intravedetti il nome della via: Obala Kulina Bana..ero di sicuro finito in una città slava...come minimo quindi a centinaia di kilometri da casa mia...ma come avevo fatto ?Preso sempre più dall'ansia entrai in una locanda dove baffuti uomini fumavano tabacco e sbevazzavano liquori..andai al bancone e mentre cercavo di ordinare un qualsiasi alcolico da trangugiare mi si fece vicino un iuomo trasandato e spettinato con una gusla tra le bracciaed un sigaro in bocca tra i baffi;aveva capito che ero un forestiero e rivolgendosi a me in uno strano tedesco dall'accento slavo mi disse "schon euch zu treffen, meine Name ist Gavrilo Princip" Aveva detto che aveva piacere di conoscerci e ci aveva detto il suo nome..un nome che mi sembrava di avere già sentito o letto da qualche parte. Sempre più angustiato e confuso gli chiesi se poteva dirmi che giorno era, avevo infatti come l'impressione di non essere non solo nel mio posto ma anche di non essere più nel mio tempo.Egli cominciando a sogghignare in modo quasi irritante mi indicò un proclama imperiale appeso al muro che iniziava così "Sarajevo 10 giugno 1914" e mi gridò "Metta anche il numero di scarpe!"...Svenni ...