sabato 29 settembre 2012

L'autunno di sbieco 7

Stavo singhiozzando disperato con il volto sprofondato nel cuscino implorando Francesco Giuseppe di tornare e rispondere al quesito che per anni mi aveva tormentato, quando udii un rombo in strada: era l'inconfondibile voce della Kawasaki di Piega! Il mio amico sapeva della mia broncopolmonite ed era venuto a trovarmi e senza saperlo poteva essere la mia salvezza. Come faceva di solito, Piega si lanciò con la motocicletta su per le rampe di scale che portavano al mio appartamento e, con un grande fracasso, entrò nella mia camera attraversando le fiamme appiccate dal dottor Ottobrunn facendo letteralmente esplodere la porta. Il dottore, che si era scansato all'ultimo momento per evitare di essere investito, iniziò a lanciarci addosso delle freccette con le punte avvelenate, maledicendoci in tedesco. Zompai sulla moto di Piega e gli urlai nel casco: "Vai, vai Piega" Più veloce del vento!". Una forte accelerata, l'infrangersi del vetro della finestra, il volo in motocicletta giù per tre piani, l'atterraggio sul marciapiede coperto di foglie secche e lo scoppio di entrambi i copertoni delle ruote furono gli eventi che si affastellarono in una manciata di secondi. La moto di Piega era ormai inutilizzabile e anche noi non eravamo messi tanto bene,..
(continua)

lunedì 24 settembre 2012

L'autunno di sbieco 6

Quel fumo inizialmente biancastro si faceva via via più giallo e non arrecava nulla di benefico alle mie narici e ai miei polmoni malati.
Cominciai a tossire con veemenza ed il mio respiro si faceva sempre più difficile e carico di angoscia quando ecco che il fumo prese le parvenze un vecchio uomo asburgico in vesti regali, alto ed imponente davanti alla porta. Fronte pelata e baffi fitti e caduchi ai lati della fiera bocca. Non avevo dubbi, era Francesco Giuseppe d'Austria, per gli amici "Cecco Beppe".
Il fumo era completamente sparito e l'aria era tornata respirabile nella mia camera ammuffita dal tempo che si era ricondensato in quella ieratica figura.Cominciò a parlarmi in tedesco masticando una foglia di tabacco ungherese.
Io non avevo mai studiato tedesco , era però la lingua di mia madre e certi suoni e cadenze ti si imprimono nel cuore prima che nella mente, cominciai ad ascolarlo. Mi disse che il dottor Ottobrunn era anche il suo medico personale a Vienna e mi spiegò che era apparso grazie ai fiammiferi magici di Tubinga che il dottore aveva strofianto con rabbia dopo che se ne era uscito.
Di quei fiammiferi avevo sentito parlare ma non avevo mai creduto alla loro esistenza. Si diceva fossero stati inventati a Monaco di Baviera negli anni venti nel laboratorio di Max Plank per il colpo di genio di una sua giovane assistente ebrea; i "fiammiferi del tempo"di Plank..Die Plank Zeitflamme..così erano passati alla storia. Avevano il potere di aprire porte spazio-tamporali verso infiniti multiversi e si erano attirati l'odio e l'avversione dei nazisti del Terzo Reich, gelosi della loro efferata unicità. Un giorno le SS saccheggiarono il laboratorio e gettarono i fiammiferi nel Danubio a livello di Passau.Dopo non se ne seppe nulla...
 Il fumo che avvolgeva prima la stanza era entrato ora di prepotenza nella mia testa ed avevo una grande confusione su quello che stavo vivendo in quel momento. Era un sogno ? Era frutto di una allucinazione dovuta al fumo ? Era la proiezione della mia coscienza tormentata?Ero entrato in un altro universo parallelo?
Mentre tutte queste domande si rincorrevano tra passato,presente e futuro nella testa il mio sguardo fu distolto da una foglia gialla e rossa che cadeva dall'olmo davanti a casa mia. Mi venne allora una grande voglia di fare quella domanda che  dai tempi del liceo mi tormentava. Girando il capo di nuovo verso il vecchio imperatore dissi "Cecco Beppe è vero che quando era aviatore se era senza benzina pissava nel motore?"..ma lui era sparito lasciando dietro di sè una flebile nube di fumo giallo..scoppiai a piangere..
(continua)

sabato 22 settembre 2012

L'autunno di sbieco 5

A quella domanda del dottor Ottobrunn balzai dal letto in preda allo sconcerto. "Ma come sa che il mio vero nome è Natica?" urlai con affanno. Il dottor Ottobrunn sbarrò allora gli occhi e prese ad agitarmi davanti al naso il pesante volume che portava sottobraccio fino a pochi istanti prima. "Lo so perchè c'è scritto qui dentro! Qui c'è la Verità! UNA ES VERITAS!" e improvvisamente il volto del dottore si fece paonazzo.
"Questo libro che gli sciocchi considerano un romanzetto da pochi soldi è la vera fonte del sapere e del diritto! Ma visto che insistete tutti a non volermi credere allora perirete nelle fiamme!". Detto questo si voltà di scatto e uscì dalla mia camera sbattendo furiosamente la porta. Urlai invano che volevo solo sapere come mai mi aveva chiamato col mio vero nome Natica, ma il dottor Ottobrunn non mi badò e lo sentii accatastare fascine di paglia e legna secca contro la mia porta, che aveva sprangato dall'esterno, mentre ridacchiava ossessivamente. Infine lo udii accendere diversi fiammiferi, poi un crepitio, quindi un denso fumo iniziò a filtrare di sotto la porta della mia camera.
(continua)

sabato 15 settembre 2012

L'autunno di sbieco 4

Quella tosse e quel catarro verdastro non mi passavano, erano un tormento fisico che si aggiungeva alla tempesta del mio animo fragile e scosso. Quel giro con Piega su per le rampe del Cimirlo mi aveva distratto per un po' di tempo da miei pensieri ma ora ne pagavo le conseguenze..fui costretto a chiamare il medico. La sera verso l'imbrunire suonò il campanello il Dott.Karl Ottobrunn. Viso d'una volta stile tardo impero asburgico. I genitori erano due professori ebrei bavaresi di Freising vicino a Monaco di Baviera. Il padre insegnava fisiologia umana alla università di Monaco,la madre era stata assistente all'istituto di fisica della stessa università. Aveva fatto una tesi di fisica quantistica con il famoso professore Max Plank in persona prima che fossero costretti a fuggire attraverso le Alpi dalla barbarie nazista e trovare rifugio presso un generoso occhialaio di Pieve di Cadore, li nacque Karl.
Salì svelto ma regolare le polverose scale di casa mia ed entrò per visitarmi.
Il mio aspetto era alquanto fatiscente e febbriciante ma sembrava non lo preoccupasse tutto ciò , aveva fretta, sembrava preoccupato anche lui e stringeva forte sotto il braccio destro un grosso tomo polveroso di cui non riuscii a riconoscere il titolo.Mi auscultò i polmoni ma poi non mi prescrisse nulla e mentre stava per chiudere il portone dietro di sè mi rivolse una domanda inquietante "Secondo Lei Sig Natica è meglio la turbina Pelton o la turbina Kaplan?"

L'autunno di sbieco 3

"Aspetta Piega!" gridai al mio amico centauro che si stava allontanando. Lui si fermò e mi squadrò con occhi assenti, si grattò la testa unta e mi chiese con quel suo solito modo di parlare impastato: "Ma che ci fai con quel cappotto? Parti per le Russie?".
Fu in quel momento che mi accorsi che il sole settembrino non aveva nulla da invidiare alla calura del Ferragosto da poco passato, che ero completamente sudato sotto il pesante cappotto e il berretto dipelo di volpe. Non c'era stato alcun temporale quella notte, non c'era alcuna fresca aria umida, solo caldo e tormenti. La prima cosa che mi venne in mente per uscire da quella situazione imbarazzante fu di chiedere a Piega di farmi fare un giro sulla sua moto, per asciugarmi. Mi tolsi gli indumenti invernali e rimasi in maglietta e pantaloni corti. Salii sulla Kawasaki di Piega. Il giorno dopo avevo la polmonite.
(continua)

sabato 8 settembre 2012

L'autunno di sbieco 2

..sono sceso per le scale ed ho imboccato il primo vicolo umido dopo la pioggia della notte, soffiava un leggero vento da ovest che dava la sensazione di freddo e la muffa si stava già reimpadronendo degli stipiti più bassi delle case. Quando ecco venirmi incontro Tanica detto "il Piega"; se ne stava andando anche lui al bar a bere una birra, tirare qualche rutto e commentare qualche tosa di passaggio. Quel buffo soprannome gli venne affiabiato dagli amici del bar per il suo passatempo preferito. Passava le sue tristi domeniche a correre su per i tornanti del passo del Cimirlo con la sua Kavasaki dell'87 e si burlava con le ragazze di riuscire a compiere delle pieghe vertiginose.
Mi salutò frettoloso solo con un cenno rapido del capo unto e grattandosi la chiappa destra girò l'angolo...

L'autunno di sbieco.

Uno degli ultimi pomeriggi caldi e sonnolenti passati chiuso nell'appartamento fuggendo il sole e cercando di disegnare disturbato dai discorsi sconnessi e sempre uguali degli ubriaconi seduti ai tavolini del bar di sotto. Non i simpatici avvinazzati col naso rosso che cantano di amori perduti, ma trentacinquenni con gli occhiali da sole che commentano con linguaggio aggressivo quanto sia figa la nuova barista e quanto si siano schiantati di birra anche la sera prima.
Non v'era modo di proseguire inseguendo l'ispirazione per un bozzetto, così presi il mio cappotto pesante e il berretto in pelo di volpe e me ne uscii nell'assolato tardo pomeriggio cittadino di Settembre.
(continua)

sabato 1 settembre 2012

L'estate dei mughi smarsi 11 - Epilogo

Dopo quella notte non rividi più Rosina. Alcuni in paese malignarono che si fosse imbarcata su di una nave per Singapore e che fosse diventata una donna di malaffare, ma io non prestai mai fede a queste voci: per me rimase sempre la donna angelica rombante sul sidecar. Questa visione mi rimase anche quando, diversi anni più tardi, si venne a scoprire che Rosina aveva derubato i bosniaci del denaro raccolto a fatica vendendo il carbone al loro paese e che quindi Bogdanov e Caiman Boris in fondo avevano le loro ragioni per essere alterati. Un'inchiesta del Corpo Forestale dello Stato svelò persino che era stata lei, Rosina, ad attaccare volontariamente la cianoscora ai mughi dell'altipiano, forse come estremo gesto di sfida nei confronti di una Natura che pure era stata tanto generosa nel donarle beltà e grazia. Da ultimo venni a sapere che le mie mucose soffrivano di un raro morbo benigno che distorce le sensazioni olfattive: in particolare tendo a confondere l'aroma del geranio con le esalazioni di benzina e l'odore della carne di cervo arrostita con quello della carne umana arrostita.


Per la seconda volta Bogdanov e Caiman Boris si rivelarono ai miei occhi meno bestiali di quanto avevo creduto inizialmente, e questa considerazione mi conduce alla profonda conclusione morale di questo racconto estratto dai miei ricordi: le apparenze ingannano.
Asiago, 28 agosto 2012